Resilienza: la capacità di resistere

È ormai di uso comune la parola “resilienza”, dove si intende la nostra capacità di resistere di fronte alle avversità e di non mollare, ed è una parola ormai abusata anche dalla politica.

In psicologia, la resilienza è la capacità di un individuo di superare gli ostacoli, le difficoltà e le sfide della vita in modo efficace e di adattarsi positivamente alle situazioni difficili. La resilienza non è un tratto innato, ma piuttosto un insieme di abilità e di caratteristiche che possono essere sviluppate nel corso della vita.

Le persone resilienti sono in grado di affrontare le difficoltà in modo creativo e di trovare soluzioni ai problemi, anziché lasciarsi sopraffare dalle emozioni negative o dallo stress. Inoltre, hanno una buona autostima e una forte rete di supporto sociale, che possono aiutarle a superare le difficoltà e a trovare il modo di andare avanti.

A volte la resilienza va allenata, soprattutto in relazione allo stress, a volte quindi è necessario attuare delle misure proprio per difendersi dallo stress, come ad esempio limitare l’uso dello smartphone e altri device tecnologici.

La resilienza può essere particolarmente importante in situazioni di crisi o di trauma, come la perdita di una persona cara, una separazione o un divorzio, o un evento traumatico. Tuttavia, la resilienza è anche una qualità che può essere utile nella vita di tutti i giorni, ad esempio per gestire lo stress sul lavoro o affrontare le sfide della vita quotidiana.

Ma da dove arriva in realtà questo termine?
Dal mondo della meccanica, degli acciai, dai test eseguiti in un laboratorio metallurgico per verificare le caratteristiche meccaniche di una lega metallica, ovvero dal test di Charpy, che è una misura della resistenza di un materiale a fratture.

Resilienza: Il test Charpy

Il test Charpy V-notch è un test distruttivo che misura la capacità di un materiale di resistere alla frattura sotto impatto. È tipicamente utilizzato per caratterizzare la tenacità dei materiali metallici, come l’acciaio. Il test Charpy V-notch è stato sviluppato dal fisico francese Adolphe Charpy (1850-1917) nel 1900.

Il test Charpy V-notch consiste nell’impattare un campione di materiale con un punzone inflessibile che si muove verticalmente verso il basso a una velocità e un angolo fissi. L’intaglio risultante rappresenta la quantità totale di energia assorbita dal campione durante la frattura dovuta all’impatto. La lunghezza dell’intaglio viene misurata prima e dopo la prova con un microscopio dotato di fotocamera digitale e software informatico, quindi confrontata per stabilire quanta energia è stata dissipata prima che si verificasse la frattura.

A una maggiore energia assorbita corrisponde una maggiore resistenza alla rottura e viceversa. In questo modo, è possibile confrontare materiali diversi o aree diverse all’interno dello stesso materiale.

Grazie alla sua semplicità, il test Charpy V-notch può essere utilizzato per studiare le proprietà dei materiali come la tenacità, la duttilità o la resistenza sotto carichi dinamici (impatto) e a diverse condizioni di trattamento termico.

Ovvio che un risultato ottimale del test di Charpy non implica che il prodotto finale non debba essere sottoposto a manutenzione programmata solo perché risultato “resistente”. Nel mondo della meccanica la manutenzione è un processo fondamentale sia per la sicurezza che per la produzione.

Come viene eseguita la prova

Il test Charpy è un metodo comune per valutare la resistenza agli urti dei materiali. Misura la capacità di un materiale di assorbire energia quando è soggetto a una forza d’urto. Il test di Charpy viene eseguito colpendo un campione con un martello e registrando la quantità di lavoro compiuto dal martello sul campione prima che si verifichi la frattura. La quantità di lavoro compiuto dal martello è proporzionale alla quantità di energia assorbita dal campione prima che si fratturi.

La prova d’urto Charpy è stata standardizzata in due versioni:

  • Una per le prove a temperatura ambiente (ASTM E23-02)
  • Una per le prove a temperature diverse da quella ambiente (ASTM E23-03).

Entrambi gli standard richiedono che i campioni siano condizionati in un forno o in una fornace prima della prova. In entrambe le norme viene utilizzato un provino con intaglio Charpy V, che ha due forme diverse: V a 45°, profondità pari a 2 mm, raggio del fondo dell’intaglio pari a 0,25 mm; U o forma a buco di serratura, profondità pari a 5 mm, raggio del fondo dell’intaglio pari a 1 mm.

La provetta

La provetta viene utilizzata per misurare la resilienza di un materiale. La provetta è costituita da un tubo metallico cilindrico con un intaglio circolare sulla faccia inferiore, che consente di determinare il limite elastico.

Il campione viene posizionato nel supporto e allineato in modo da poter essere facilmente testato. Il supporto viene quindi introdotto nella provetta in modo da garantire che non si muova durante la prova.

La provetta viene posizionata sopra il supporto, il materiale da testare viene quindi posto tra due supporti in modo da ottenere il suo spessore massimo. Il campione deve essere orientato in modo che il suo asse longitudinale sia parallelo all’asse di rotazione dello strumento e l’impostazione deve essere eseguita con cura in modo che sul fondo della generatrice di tacche non compaiano striature visibili a occhio nudo.

In generale, il campione deve essere tagliato con una sega diamantata per ottenere un pezzo di dimensioni minime di 3 mm di spessore e 30 mm di larghezza. Lo spessore non dovrebbe superare 1/3 della larghezza; in caso contrario, sarebbe necessario utilizzare un campione più spesso o allargare la tacca senza alterarne la forma.